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sabato 31 dicembre 2016

ARRIVA LA COMETA DI "CAPODANNO"

SULMONA - Nel pensiero popolare il primo giorno dell’anno è profetico per l’andamento degli altri e, quindi, riveste un particolare valore indicativo, essendo propizio per trarre le sorti. Si pensa che ciò che si faccia o succede in quel giorno, si farà o ripeterà per tutti i giorni dell’anno.Gli anziani accuratamente evitavano di inquietarsi, rattristarsi, fare dei pagamenti, essere malati, litigare e così via. Pensavano, al contrario, che l’allegria, la salute,
i doni e il benessere avrebbero assicurato un’intera annata nel migliore dei modi.I contadini solevano fare un poco di tutti i lavori, per dare il buon auspicio alla prosecuzione per tutto l’anno. Anche le donne casalinghe davano inizio a più faccende: cucinavano, filavano, assestavano la casa, pulivano, anche se per qualche momento. Oggi la maggior parte crede che il primo dell’anno si debba trascorrere nel più assoluto riposo, per augurarsi di non lavorare durante l’anno: quasi un capovolgimento di valori avvenuto nel tempo in una società moderna e forse meno laboriosa.
Una volta si faceva molto caso alla persona che per prima s’incontrava fuori di casa o che faceva visita ad altri, prendendo presagi per la maggiore o minore fortuna che poteva arrivare nel corso dell’anno.
Esisteva una vera e propria casistica, riferita a quegli incontri e ognuno alimentava i suoi pregiudizi e credenze in merito, per analogia o per contrasto.  Tutto ciò scaturiva da principi di magia simpatica, per cui, ad esempio, incontrare un anziano significava poter vivere fino a tarda età, il gobbo portava fortuna, il prete o il frate erano origine di iattura.
Un altro aspetto del capodanno era la credenza, che perdura ancora, di distruggere tutto il male, il vecchiume, la tristezza, il peccato e le azioni riprovevoli dell’anno che finiva, per dare inizio al nuovo con l’idea del rinnovamento totale. Allo scoccare della mezzanotte del 31 dicembre bisognava essere accorti, poiché dalle abitazioni si vedevano volare in strada piatti, bicchieri, stoviglie vecchie e malandate,con grave pericolo per chi era di passaggio. Nel giorno di capodanno era di buon auspicio indossare indumenti nuovi e gettare quelli ormai logori.
La mezzanotte era considerata il momento cruciale del trapasso dal vecchio al nuovo anno, per cui in molti luoghi rappresentava il mistero e il prodigio. Ad esempio, la ragazza che avesse guardato in uno specchio, a lume di candela, avrebbe visto apparire il volto del suo futuro marito. Diffusa era la credenza che l’acqua si fermasse in quell’attimo di prodigio o che si tramutasse in oro. A Pettorano si pensava che il fiume Gizio arrestasse il suo corso e che l’acqua attinta diventasse oro. Non pochi dai paesi peligni limitrofi si recavano per l’occasione ad attingere acqua, ma non si ha memoria che la stessa fosse stata tramutata in oro, se non nella leggenda e nella fantasia popolare.
L’acqua, come il fuoco, nella tradizione è considerata un elemento purificatorio, per cui usarla a mezzanotte significava entrare nel nuovo anno puri e puliti da ogni macchia di peccato. Se non era possibile farlo a quell’ora, poiché si andava a letto presto, le donne, in orario mattiniero del capodanno, si recavano con le conche di rame ad attingere “l’acqua gnòve”, l’acqua nuova. La stessa, oltre che nelle proprie case (dove non esistevano fontane per l’acqua corrente) era portata in dono alle famiglie amiche o di rispetto del paese, che contraccambiavano con noci, ceci, e fichi secchi (carracine). Nel rituale si recitavano i seguenti versi:
Bon giorne e bon Caperanne,
cheste jè l’acqua gnove che te porte l’anne.
Il mattino era uso a Pettorano sul Gizio fare a gara ad alzarsi presto, all’interno della famiglia, per andare a battere chi rimaneva a dormire, perché bisognava subito iniziare tutte le attività, quindi non si poteva dormire.
Quando due persone si lavavano insieme nell’acqua nuova diventavano compari o comare, ma sull’uso del comparatico si ritornerà in seguito, perché era praticato anche nel giorno di San Giovanni o in altre occasioni, quali nascita, morte e visite di pellegrinaggio. I giovani dei tempi passati, che non avevano altri divertimenti, cercavano di rendere, durante quella notte, l’atmosfera favorevole a fauste previsioni. Si riunivano in gruppi di amici e solevano portare serenate e cantate sotto le finestre di amici, conoscenti e fidanzate, che finivano sempre di essere compensate con mance e doni  in natura, con ricche mangiate e bevute .
I canti augurali, in effetti, sono presenti in molte costumanze dell’Abruzzo interno, dove resistono ancora nelle rappresentazioni riferite al ciclo dell’anno e nelle ricorrenze di santi.
A Bugnara si soleva cantare la seguente filastrocca, per ricevere doni:
Addemane jè Capedanne,
‘nghe pècura fijjate
e ‘ nghe mula castrate.
Se me daje nu pizzille,
pozza fa’ nu citilille;
se me daje na pezzella,
pozza fa’ na citelella;
se me daje na castagne,
pozza fa’ nu re de Spagne;
se me daje nu turrone,
pozza fa’ nu re de crone…

A Cansano la serenata si arricchiva con altre strofe, tra cui:
Sante Salevièstre
‘nghe le chieve d’òure,
facimme la sanda feste
‘nghe la sanda signurie.
Uòjje jè calende,
addemane jè gl’anne nove.
Ciufulitte e ciufulitte,
se me vuò da’ na pizza fritte;
se tu nen me la vuò da’,
tutta jnotte te vuoglie cantà…
Ormai in disuso è una tradizione di Castel di Sangro, che andava sotto il nome di “ Matunata” e ricadeva ogni anno a capodanno. I giovani solevano girare per le vie cittadine, cantando una canzone, chiamata appunto “ la matunata” e chiedendo doni e dolci per ogni casa. Qualche anno fa si tentò di rinnovare la tradizione (1999-2000), ma con poco successo. Si riporta il testo della “ matunata”, sperando di salvarlo dalle grinfie del tempo inesorabile:
Vale, vale, vale la matunata ( Ritornello che si ripete ad ogni strofa)
⦁    A voi che siete insieme, a voi che siete insieme, a voi che siete insieme: la pace e il bene; Rit.
⦁    Ma non soltanto a voi ( si ripete per tre volte): anche ai lontani, Rit.
⦁    O genti che credete (tre volte): fate grandi feste; Rit.
⦁    E’ nato un bambinello (tre volte): oh quanto è bello; Rit.
⦁    Ed Egli è il buon Gesù (tre volte): il Redentore; Rit.
⦁    E gli angeli nel cielo (tre volte): deh, cantano gloria; Rit.
⦁    E cantano gloria a Dio (tre volte) e pace all’uomo; rit.
⦁    Così l’abbiam pensata (tre volte), vale, vale, vale la matunate.
⦁    Caròfene e cannelle, la nascite de Criste, uèije… ( nome dell’abitante della casa): ru bbone Capedanne!, Rit.
⦁    Criste nascenne e ru alle capedanne, uèije padrone, ru buon Capedanne!  Rit.
Dalla casa si rispondeva
⦁    Ru buone Capedanne altrettante a segnerie, vale, vale, vale la matunate;
A questo punto il coro faceva le richieste:
⦁    Se mi disse nu presutte (tre volte), me re magne assutte assutte!
⦁    Se mi disse na vendresca (tre volte), me la magne fresca fresca!
⦁    Se mi disse na precoche (tre volte), me la magne a poche a poche!
⦁    Se mi disse na castagne (tre volte), puozze fa’ nu re de Spagne!
⦁    Se mi disse na nucelle (tre volte), puozze fa’ na femmenelle!
⦁    Se mi disse nu bicchiere (tre volte), puozze fa’ nu cavaliere!
⦁    Se mi disse na buttijje ( tre volte), me la scole vije vije!
⦁    Prepare nu seggiolone (tre volte), ca mo’ arrive nu battajjone!
Segue il ritornello
 Se il padrone di casa rifiutava di aprire o di offrire qualcosa, si concludeva così.
⦁    Tande fierre arrete la porta, tande diàule te ce pòrtene!

La mancia o la strina ci riportano all’usanza molto antica e diffusissima dello scambio di doni a capodanno. Evidentemente all’inizio ebbero un carattere e un significato religioso, poiché si regalavano rami di ulivo e di alloro, miele e marmellate, affinché l’anno fosse dolce come il dono. In seguito i rami e la frutta sembrarono doni umili, per cui furono sostituiti con altri di maggior valore, fino ai regali in denaro di oggi.
L’uso di scambiarsi doni è molto importante nei rapporti sociali e deriva certamente da quello che i Latini chiamavano” streniarum commercium”.
A Pacentro, centro peligno anche i bambini ricevevano la cosiddetta “ bonamance”, una sommetta di denaro, data loro dai genitori o nonni, a seguito della recita di una filastrocca o poesia. Anche gli zii facevano a gara a consegnare per primi la buona mancia ai nipoti, perché ai loro figli era raddoppiata dagli altri zii, i cui figli l’avevano già ricevuta. Tenuta presente la precarietà economica delle famiglie, molte volte quest’usanza rimaneva soltanto a livello simbolico, poiché a molti ragazzi non restava molto del dono ricevuto, riutilizzato dai loro genitori per ricambiarlo ai nipoti.
I cibi e i dolci adoperati per il pranzo e la cena di capodanno rivestono un antico significato propiziatorio e augurale. La tradizione vuole che in tale giorno si mangi uva, che una volta era quella appassita conservata in casa, in grappoli appesi (i cosiddetti “penije”, grappoli con le viti) i cui acini richiamano simbolicamente le monete. Si pensava che più se ne mangiassero e più si potesse avere ricchezza.
Anche le noci, le mandorle, i fichi, mescolati a miele e mosto cotto riportavano alla mente alcune forme propiziatorie, di fecondità e abbondanza.
Molti usi e costumi presentavano un grande interesse sociale, con caratteristiche di pronostico. Basti pensare al ciclo dei dodici giorni: il popolo credeva che dalle condizioni meteorologiche dei primi giorni dell’anno si potessero pronosticare, per analogia o contrasto, il tempo dei mesi dell’anno. E’ da dire, però, che anticamente l’inizio dell’anno non ricadeva sempre il primo di gennaio, per cui i dodici giorni potevano decorrere, secondo le situazioni, da Santa Lucia a Natale o da Natale all’Epifania.
Alcune testimonianze bizantine, risalenti al X secolo, ci dimostrano che anche i greci credevano in questo ciclo, che era denominato” dodekahemeron” e che si diffuse in tutta Europa, con il nome di “ Calende”.
Per assimilazione, anche nel cenone di fine anno si presentavano dodici tipi di cibi.
Per  concludere, diremo che oggi gli spari, i botti ed anche l’accensione dei fuochi, dopo i balli, bisbocce e allegria, hanno un significato liberatorio e purificatorio, per indicare il rinnovamento in modo fausto e allegro della comunità, nel segno del nuovo anno.